Le nuove altre possibilità narrative della materia e della forma delle “cose”
di Matteo Galbiati
Non sempre è necessario, per affrontare l’analisi critica del lavoro e della ricerca di un artista contemporaneo, il doverlo apparentare e affiliare alle esperienze dei grandi maestri che l’hanno preceduto e che ne costituiscono i capisaldi della visione estetica, per inquadrarne e, a volte, giustificarne i modi. Ognuno ha indelebilmente inscritti nella propria consapevolezza quei punti cardinali che sono, per lui e il suo fare, orientamento di un singolare percorso intimo ed esclusivo e che rappresentano una stretta vicinanza tematica, esperienziale, iconografica, suggestiva e intellettuale. In questo senso, quindi, non ci occorre determinare i confini storici entro cui collocare il lavoro di Sandro Magnoler le cui opere sanno efficacemente determinare un rimando al corso storico che dal XX secolo si estende al presente.
Non facciamo richiami o evocazioni alla storia proprio per evitare di legare troppo saldamente la sua espressività a situazioni e contesti che potrebbero diventare un vero vincolo limitante a questa prima osservazione che ci accingiamo a fare del complesso della sua ricerca, dando per evidenti le sorgenti e le origini del suo pensiero che, non tradite e non nascoste, non ne devono nemmeno diventare un limite congetturale.
Ci concentriamo allora sul desiderio dell’artista di aprirsi all’immaginazione dello sguardo di colui che incontra le sue opere e a quell’universo di suggestioni che sono capaci di produrre e suscitare accogliendo, con una consapevolezza definita e puntuale, l’animo e il sentimento dell’altro. Ogni suo lavoro pare catalizzare, oniricamente nel modo, proceduralmente nella concretezza del reale, una fenomenologia di “impressioni” che spostano continuamente il loro assetto dall’emersione di ricordi sopiti e di pensieri interiori alla certezza della verità concreta dello stato delle “cose” che abitualmente ci appaiono nel quotidiano nostro vivere.
Importante percepire (e seguire) quel saldo filo rosso conduttore che attraversa ogni suo lavoro e che, superando un diverso formalismo estetico, una diversa concezione costruttiva e costitutiva della singola opera, li unisce tutti celebrando una coerenza naturale e istintivamente necessaria. Frutto di una manualità precisa che asseconda le necessità della riflessione, ciascuna opera diventa palcoscenico di narrazioni che non condizionano mai a priori l’interpretazione pre-determinata dall’autore, ma, al contrario, si propongono come suggerimento, come iniziale spunto per allargare il panorama di un orizzonte interpretativo che, arricchendosi dell’altrui lettura, amplifica la propria potenzialità espressiva e visiva.
Uno dei tratti significativi della ricerca di Magnoler è proprio questa acquisita esperienza dagli esempi dei maestri che, interiorizzati, l’hanno reso edotto nello sviluppare e affinare il suo linguaggio che sa assecondare, di volta in volta, atteggiamenti diversi in funzione delle materie, degli oggetti, dei colori, delle forme che va ad utilizzare. L’energia del suo sentimento diventa un costante impegno nel ricreare nuove condizioni per attestare la testimonianza di un trascorso e di un vissuto umano che, depurato e sterilizzato dal suo limite effettivo, prova a rivelarsi come universale; moltiplicabile nell’associazione e nella deduzione di chi sa, e vuole, immergersi nell’infinito potenziale espressivo dei suoi lavori.
In questo senso l’artista sa predisporre un palcoscenico di emotività, di memorie e di presenze che ripristinano un contratto di attualità tra la concretezza della realtà visiva, ingabbiata nella verità dei sensi, e la trascendenza della conoscenza, libera, invece, di spaziare nei territori infiniti della mente e della coscienza.
Magnoler propone opere che sono sorgente attiva e viva, scaturigine di un flusso di impressioni che si allargano assimilando l’affluenza di “quell’altro” pensare che non può essere intuito dall’artista, ma che questi sa, e deve, recepire attraverso la messa in atto di ciascun suo lavoro. Questa accoglienza “ecumenica”, che lui coglie e che ci invita a provare, si alimenta allora attraverso infiniti tributi di senso che derivano esattamente dalle necessità di chi osserva. Il dipinto è il punto di convergenza di temporalità altre, di altri ambienti, di imprevedibili vissuti che alleggeriscono la concretezza della verità per avvantaggiare una precisa volontà indirizzata alla costituzione di quell’ideale e assoluto immaginario visivo.
In questo senso, infatti, non sono mai semplici citazioni o facili metafore i suoi dipinti, Magnoler non li specifica mai negli effetti e nemmeno li determina: si limita, invece, a decifrare un “qualcosa” che si risolve in una scrupolosa, e quasi ossessiva interpretazione, del materiale, delle sue forme e delle sue costituenti che, sottratte dal fluire inevitabile e inarrestabile del tempo, dalla contingenza del vero, dilatano la loro essenza (forma e materia secondo il dato sensibile) e spostano il loro assetto in un continuo atto di ri-creazione di cui l’artista, prima di esserne l’artefice, ne è, appunto, il decifratore.
Magnoler accede, nelle e con le sue opere, all’ampia gamma della tavolozza emotiva dell’animo umano, saggiando quei differenti aspetti della materialità del mondo che si mette in scena per scardinare un copione prestabilito e predeterminato e, lasciandosi conquistare dalla lentezza del tempo, dalla sua azione trasformativa, rientra in un ciclo di nuove possibilità e di imprevedibili variazioni che toccano nel profondo le nostre emozioni attraverso i gradi in-finiti di altre narrazioni, di altre storie, di altre esperienze e trascorsi di vita. Dobbiamo avere la consapevolezza del suo costante impegno nell’accettare (e accertare) il dato chiave dell’esistenza umana in cui il tempo accorda la trasformazione naturale di ogni cosa: il principio della Natura resta come artefice superiore capace, nella sua logica eternità, di modificare inevitabilmente tutte le sue cose e tutte le sue presenze.
Erode la materia, trasforma gli spazi, cancella esistenze e ne genera di nuove. Qui l’artista si sforza di fissare un momento di transizione prima di un’inevitabile scomparsa o di un’altra inedita apparizione: si ferma nel limite dell’incertezza e della fragilità, quando, nella mutazione, si altera lo statuto delle cose e, qui, prima che tutto sia compiuto, sa leggervi quella vibrazione di precarietà che sfiora il nostro animo di essere finiti. Il dipinto recepisce la contraddittorietà dialettica di materia e colore, forma e sostanza; non respinge, non agisce con violenza impositiva, ma sa alleggerire la tangibilità di una concretezza corruttibile per consegnarci l’accesso all’incarnazione nell’assoluto principio fondante del pensiero. Questo sì universalmente eterno e incorruttibile.